Lettera dal Cardinale Mario Zenari

Carissimi fedeli e concittadini, Cordiali saluti dalla martoriata Siria, dove sono Nunzio Apostolico da 12 anni. In questi ultimi tempi la Siria sembra essere sparita dai radars dei media e anche dall’attenzione della Comunità Internazionale. E’ questa un’ulteriore disgrazia che di solito capita quando un conflitto si protrae per lunghi anni.

Papa Francesco, in occasione dello scambio degli Auguri di Capodanno con gli Ambasciatori accreditati presso la Santa Sede, il 9 gennaio u.s., rilevava con una certa preoccupazione

“questa coltre di silenzio che rischia di coprire la guerra che ha devastato la Siria nel corso di questo decennio”.

E la giornalista siriana, dallo pseudonimo Waad Al-Kateab, fuggita da Aleppo con la sua bambina durante la sanguinosa battaglia del 2016, in un articolo pubblicato sul “The New York Times” il 7 febbraio 2020, scriveva:

“Noi Siriani siamo lasciati soli in faccia alla morte…siamo stati uccisi nei modi più impensati, ma la cosa più dura da accettare è di venir uccisi in silenzio, dimenticati”

E’ vero che le bombe e i razzi da alcuni mesi non cadono più su Damasco, Aleppo, Homs ed altre località, ma è scoppiata quella che si potrebbe definire come la “bomba della povertà”, la quale colpisce, secondo gli ultimi dati dell’ONU, più dell’80% della popolazione siriana, riducendola a vivere sotto la soglia della povertà. Non si vede ricostruzione, avvio economico e lavoro. Molta gente, soprattutto i giovani, hanno perso ormai la speranza per il loro futuro.

Circa 12 milioni di persone, ossia la metà della popolazione, ha dovuto, in questi dieci anni di guerra, lasciare le proprie case, villaggi e città, trovando rifugio nei Paesi vicini, in campi profughi non sufficientemente allestiti, o vivendo in qualche modo a cielo aperto anche durante i freddi mesi invernali. Diversi bambini sono morti di malnutrizione e di freddo. La comunità internazionale, in particolare le Nazioni Unite, cercano di portare soccorso, come possono, a 11 milioni di persone in necessità, con convogli umanitari che entrano dalla Turchia.

Dopo dieci anni di sanguinoso conflitto, la Siria è sempre più povera e ammalata. Davanti ai panifici, che vendono il pane a prezzi agevolati dallo Stato, si vedono lunghe code di persone, che attendono con pazienza il loro turno. Per quanto riguarda gli ospedali, circa la metà sono o del tutto inagibili, oppure operanti solo parzialmente.

Oltre ai numerosi feriti di guerra, ci sono malattie causate dall’inquinamento dell’aria, del suolo e dell’acqua dovuto ad ogni sorta di bombe ed esplosivi usati in questi passati dieci anni. Sono in aumento i malati di cancro, anche tra i bambini. A tutto questo si aggiunge la pandemia del Covid- 19, che secondo i dati ufficiali è ancora abbastanza contenuta, ma si va progressivamente diffondendo, in un Paese del tutto impreparato ad affrontarla.

In questa situazione così drammatica anche dal punto di vista sanitario, si è dato vita, con l’incoraggiamento di Papa Francesco, ad una iniziativa chiamata “Ospedali Aperti”. Essa concerne 3 Ospedali Cattolici operanti in Siria da più di 100 anni e diretti da 3 Congregazioni Religiose femminili. Vengono curati malati poveri di qualunque appartenenza etnico-religiosa. In 3 anni di attività sono stati assistiti gratuitamente circa quaranta mila pazienti poveri e senza assistenza sanitaria. I risultati sono assai incoraggianti, anche perché, oltre a curare i corpi, si cerca di ricucire anche il tessuto sociale, in qualche modo compromesso da questo conflitto. La famiglie mussulmane povere, che hanno avuto un malato assistito gratuitamente, sono molto riconoscenti verso i cristiani. Naturalmente questo progetto costa diversi milioni di euro, provenienti dalla generosità di Istituzioni e persone private.

Per quanto riguarda le Chiese Orientali, di diversi riti, presenti in Siria, la ferita più profonda che hanno subito è quella dell’emigrazione, dovuta alle circostanze, di un buon numero di fedeli. Si calcola che più della metà siano partiti, e che ne siano rimasti poco più del 2% della popolazione. Diverse chiese e cattedrali sono state riparate e riportate al loro primitivo splendore, con il generoso aiuto di cristiani di diverse parti del mondo. Le pietre sono state rimesse al loro posto, ma mancano però diverse “pietre vive”, in particolare i giovani.

Queste Chiese sono impegnate in tutta una serie di programmi umanitari, che vanno dall’assistenza in campo alimentare, a quella sanitaria, educativa, alla ricostruzione di abitazioni, al cercare di procurare un lavoro ecc. Di fronte all’immane opera di ricostruzione e di avvio economico del Paese, valutato dagli esperti in diverse centinaia di miliardi di US$, e non ancora cominciato, verrebbe quasi da pensare che tutti questi generosi aiuti siano in fondo come un “rubinetto” di acqua nel deserto! Un rubinetto d’acqua molto prezioso, che, se mancasse, renderebbe la situazione di molte persone ancor più dolorosa.

Di fronte alla folla stanca e affamata che lo seguiva da tre giorni, Gesù mise a prova i suoi discepoli: “Date loro voi stessi da mangiare!” (Mt. 14, 16). La risposta comprensibile dei discepoli fu: “Non abbiamo qui se non 5 pani e 2 pesci, ma che cos’è questo per tanta gente?” (Mt. 14,17; Gv. 6,9).

Cosa sono questi generosi aiuti di fronte alle lunghe code di persone davanti ai panifici della Siria? Che cosa sono queste medicine e questa assistenza sanitaria difronte alle tante migliaia di malati? E’ la domanda che viene spontanea. Ma viene anche da pensare che, senza quei 5 pani e 2 pesci offerti dal generoso ragazzo della narrazione evangelica, forse Gesù non avrebbe sfamato quelle cinquemila persone.

Vi ringrazio della vostra preghiera, della vostra generosa solidarietà, dei 5 pani e 2 pesci!

Damasco 25 novembre 2020

+ Mario Zenari

                                                                  Nunzio Apostolico in Siria